IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti  gli atti del procedimento penale n. 1338/1989 nei confronti
 di Maghenzani Ermete, nato il 19 aprile 1952 a Boretto, residente  in
 Brescello,  via  Verdi n. 43, imputato del reato p. e p. dall'art. 4,
 n. 7, del d.-l. 10 luglio 1982, n. 429, convertito in legge 7  agosto
 1982,  n.  516,  perche',  quale  titolare  della  ditta  omonima  di
 Brescello (Reggio Emilia), al fine di  evadere  le  imposte  dirette,
 nell'anno  1985 dissimulava componenti positivi del reddito pari a L.
 42.730.000, che non annotava nelle scritture contabili obbligatorie e
 non  inseriva nella dichiarazione dei redditi per quell'anno cosi' da
 alterare in misura rilevante l'esito dell'anzidetta dichiarazione dei
 redditi, in cui indicava reddito d'impresa pari a L. 61.100.000.
    Guastalla (Reggio Emilia), 3 giugno 1986.
    All'esito  dell'udienza  preliminare  ha  pronunciato  la seguente
 ordinanza;
    L'art.  4, primo comma n. 7, legge 7 agosto 1982, n. 516, sanziona
 la condotta del contribuente "titolare di redditi di lavoro  autonomo
 o  di impresa", il quale "al fine di evadere le imposte sui redditi o
 l'imposta sul valore aggiunto o di conseguire  un  indebito  rimborso
 ovvero di consentire l'evasione o indebito rimborso a terzi", "redige
 le scritture contabili obbligatorie,  la  dichiarazione  annuale  dei
 redditi ovvero il bilancio o rendiconto ad essa allegato dissimulando
 componenti positivi o simulando componenti negativi del reddito  tali
 da alterare in misura rilevante il risultato della dichiarazione".
    Si  tratta  di norma, come e' noto, di significato non univoco per
 la difficolta' di  interpretazione  che  deriva  non  soltanto  dalla
 complessa  struttura  sintattica, ma anche dall'uso di espressioni di
 senso non sufficientemente determinato ("alterare in misura rilevante
 il  risultato della dichiarazione") e di termini ambigui ("simulando"
 e "dissimulando").
    In  particolare  i  concetti  di  "dissimulazione"  di  componenti
 positivi e di "simulazione" di componenti negativi del reddito  hanno
 dato  origine  a  opinioni  contrapposte,  comprendendo gli uni nella
 "dissimulazione" la mera omessa indicazione e nella "simulazione"  la
 mera  enunciazione  di  componenti del reddito, esigendo gli altri la
 presenza di un quid pluris  idoneo  a  connotare  di  fraudolenza  la
 condotta dell'agente.
     Entrambe  le  tesi  sono  sostenibili,  e  sono  state in effetti
 sostenute con seri e validi argomenti contrapposti. Tuttavia,  mentre
 la   seconda   non   pone   problemi  sul  piano  della  legittimita'
 costituzionale della norma, non altrettanto puo' dirsi  della  prima,
 la  quale  in sostanza ritiene punibile sulla base della disposizione
 in oggetto la semplice infedelta' della dichiarazione.
    Infatti,  ove la dissimulazione di componenti positivi del reddito
 potesse  concretarsi  in  una  mera  omissione,  e  la   simulazione,
 simmetricamente,  in  una  semplice mendace indicazione di componenti
 negativi, la condotta in esame si sovrapporrebbe,  in  pratica,  alle
 ipotesi  contravvenzionali  dell'art.  1:  la  qual cosa non soltanto
 determinerebbe gravi contraddizioni sistematiche (perche', essendo le
 predette  contravvenzioni  soggette  a  soglia  di punibilita', al di
 sotto della stessa soglia potrebbe,  paradossalmente,  subentrare  la
 punibilita' a titolo di frode) ma porrebbe la norma in contraddizione
 col  fondamentale  principio  di  uguaglianza,  per   l'irragionevole
 disparita'  di  trattamento,  consistente  nel  sanzionare  lo stesso
 comportamento,    l'infedele     dichiarazione,     come     semplice
 contravvenzione  oblazionabile  quando  ha  ad  oggetto  redditi  non
 soggetti ad annotazione contabile, e grave  delitto  quando  concerne
 redditi di lavoro autonomo e d'impresa, derivanti da cessione di beni
 o prestazione di servizi.
    Secondo  il  costante insegnamento della Corte costituzionale, una
 disposizione che ammette  piu'  interpretazioni  non  e'  soggetta  a
 caducazione  quando  solo  una delle interpretazioni confligga con la
 Costituzione: ma l'interprete e'  impegnato  a  far  applicazione  di
 quello  o quelli fra i possibili significati che, per essere conformi
 al dettato costituzionale, consentono la salvezza della norma.
    Di  conseguenza,  per  elidere ogni dubbio sulla costituzionalita'
 rispetto al principio di uguaglianza dell'art.  4  n.  7  citato,  e'
 sufficiente  (e necessario) adottare tra le possibili interpretazioni
 quella che esige un quid pluris rispetto alla mera omissione  o  alla
 mera enunciazione di componenti del reddito per integrare il delitto,
 secondo il pensiero  -  sopra  pressoche'  testualmente  riportato  -
 espresso da Corte costituzionale, 16 maggio 1989, n. 247.
    E' tuttavia necessario riconoscere che la giurisprudenza di merito
 prevalente e la giurisprudenza  di  legittimita'  sono  orientate  in
 senso   opposto,   sicche'   ogni   diversa   interpretazione  appare
 sostenibile  sul  piano  teorico,  ma  (ormai)  perdente  sul   piano
 dell'applicazione giurisprudenziale.
    Cio'  dimostra  il  fatto  che  pure dopo la citata sentenza della
 Corte costituzionale, la Corte di cassazione (Cass. pen. sez. III; 26
 settembre   1989,   Vangelisti)   ha  ribadito  il  proprio  rigoroso
 orientamento, non solo sulla base della non  vincolativita',  per  il
 giudice  ordinario,  delle  sentenze  costituzionali di rigetto e del
 carattere incidentale dell'interpretazione della Corte costituzionale
 sul  punto,  ma  soprattutto  affermando l'avvenuta confutazione, nel
 merito, delle argomentazioni addotte dal giudice delle leggi.
    E'  innegabile,  a questo punto, che l'indirizzo giurisprudenziale
 in discussione debba essere considerato "diritto vivente", e  che  la
 costituzionalita'   dell'art.  4  n.  7  rispetto  all'art.  3  della
 Costituzione vada ormai verificata non  alla  stregua  dei  possibili
 diversi significati della norma, ma con riferimento a quell'unico che
 si e' concretamente imposto nella  giurisdizione:  con  il  risultato
 inevitabile  di  ritenerne  l'illegittimita'  sulla base dei medesimi
 argomenti enunciati dalla Corte costituzionale  nella  sentenza  piu'
 volte citata e che questo giudice fa propri.
    Va  precisato  da  ultimo  che  la  rilevanza  della decisione nel
 presente giudizio  (limitatamente  peraltro  alla  dissimulazione  di
 componenti  positivi)  e' indubbia, dovendosi in caso di accoglimento
 della questione di costituzionalita' prosciogliere l'imputato (cui si
 addebita la mera omessa indicazione, nella dichiarazione dei redditi,
 di corrispettivi), in caso contrario disporne il rinvio a giudizio.